La storia
(Emanuela Uselli, Abbasanta Ottobre 2012)
Un giorno una donna camminava per la strada, ad un tratto inciampò su di una bottiglia. Cadde. Si rialzò e notò che all’interno della bottiglia era intrappolato un biglietto. Morsa dalla curiosità la scagliò verso il muro, si infranse in mille pezzi. Con grande emozione lesse questo foglietto stropicciato: TU CHE MI HAI TROVATO, AIUTAMI. Sconcertata da questo anonimo messaggio, ed agitata da un turbinio di emozioni e di ricordi continuò il suo cammino. Ad un certo punto incontrò una donna che correva e notò occhi gonfi e tante lacrime e le chiese mentre si allontanava: perché scappi? La donna rispose in lontananza: IL MIO UOMO è PRIGIONIERO DELLA BOTTIGLIA. Ancora più turbata e con animo sempre più agitato continuò a camminare. Lungo la strada trovò una casa. Il rumore che proveniva da quelle quattro mura era infernale. E con il cuore grosso si avvicinò ad una piccola finestra e vide sedie rovesciate, due bimbi sotto un tavolo che tremavano dalla PAURA, e due adulti: UN UOMO ED UNA DONNA. Litigavano e non si guardavano negli occhi.
Per istinto bussò alla porta. Silenzio. Bussò per altre tre volte finchè l’uomo non venne ad aprire. L’uomo chiese: TU CHI SEI ? la donna rispose: UNA AMICA. ECCO LA MIA MANO. E lui: GRAZIE ! AIUTACI LA MIA DONNA E’ PRIGIONIERA DI UNA BOTTIGLIA. E lei rispose: CERCHERO’ TANTE MANI.
Uscì e bussò alla casa a fianco e poi ad altre cento, rendendosi conto che in fondo non siamo così diversi nella solitudine. E con tanto coraggio chiedeva ad ogni porta che bussava: tu cosa puoi dare per aiutare questa donna? Le risposte furono diverse e anche variopinte: IL CORAGGIO, LA MIA TRISTE STORIA, LA RINUNCIA ALLA BOTTIGLIA, LA MIA SAGGEZZA, IL MIO SORRISO, LA MIA FAMIGLIA, IL MIO CUORE, LA MIA AMICIZIA, IL MIO RANCORE, IL MIO SILENZIO, LA MIA PACE. La risposta che la colpì profondamente fu: IL MIO ASCOLTO. Con una considerazione forte si domandò: ma veramente non siamo in grado più di ascoltare prima di tutto NOI STESSI e soprattutto GLI ALTRI?
Dopo aver raccolto il frutto della solidarietà si avvio insieme a tutta questa GRANDE FAMIGLIA verso la casa che aveva ormai la porta aperta. Entrò insieme al questa moltitudine, e rivolgendosi alla donna disse: VOGLIAMO AIUTARTI A LIBERARTI DALLA PRIGIONE DELLA BOTTIGLIA ora tocca a TE A RIMPRENDERTI LA TUA VITA. AIUTACI IN QUESTO CAMMINO.
Zio Peppino e il suo vizietto alcolico
(Marianna Medda, Abbasanta Ottobre 2012)
Marco non riusciva a dormire, il suo papà anche quella notte non era rientrato. Dalla stanza accanto sentiva la mamma piangere, cercando di nascondere i singhiozzi in un cuscino ormai troppo zuppo. Marco si fece coraggio e in punta di piedi raggiunse la camera dei genitori e si infilò nel freddo lettone. Maria lo accolse. Sollevatasi, si asciugò il viso, accese la luce e si accoccolò tra le lenzuola. Marco osservò ancora una volta i lividi sulla pelle stanca della mamma e la baciò. "Papà non è cattivo", ripeteva, "ha soltanto una brutta malattia che lo fa arrabbiare tanto, ma forse ci vuole ancora bene!"
La mamma si fece forza e iniziò a raccontare una storia...
C'era una volta un allegro signore, amico dei grandi e dei piccini, sempre pronto a scherzare e a far ridere tutti e che lavorava in un grande negozio del paese. Si chiamava Peppino e da piccolo sognava di fare il comico ma suo padre non glielo permise. Così Peppino portava la sua comicità tra la clientela del negozio e ne inventava di tutti i colori per far divertire la gente e gli riusciva benissimo.
Un giorno, però Peppino diventò triste, non aveva voglia di ridere e scherzare e nemmeno di lavorare. Inutilmente gli amici cercavano di sollevargli il morale, si erano accorti che da un po' di tempo non era più lo stesso. Tonio, la guardia, cercò di simulare una rapina tirando fuori una pistolina ad acqua e bagnandosi tutta la divisa, ma Peppino non se ne accorse.
Nennetta , la bidella, scivolò sul pavimento e quasi si sfasciò, ma Peppino pensò che era la solita distratta e non fece niente. Bobore, Antioca e Giulietta, le cassiere, si misero a fare le comari imitando le ziette del vicinato, ma Peppino concesse loro qualche sbadiglio in più. Maurino, l'artista di strada fece sparire tutto sotto i suoi occhi e Peppino si augurò di poterlo fare anche lui.
Nessuno sapeva più cosa fare quando alla porta si affacciò Armando, che gli presentò una bottiglia di vino e un bicchiere. Gli disse che quella era la "medicina" giusta, avrebbe cambiato umore all'istante, si sarebbe sentito meglio e la sua malinconia sarebbe finalmente scomparsa. Lo pregò di seguire il suo consiglio, dicendogli che lui lo faceva già da un po' di tempo e funzionava sempre. Peppino accettò di buon grado la nuova "medicina" e si accorse che qualcosa stava cambiando.
Si stava avvicinando Natale, e Peppino in quel periodo era solito fare uno spettacolino per divertire la clientela,tutti lo osservavano e nessuno rimase deluso. Peppino si lanciava in balli acrobatici, in canti a fin di fiato, faceva giochi di prestigio e raccontava storielle mai sentite. Tutti erano divertii, i bambini non vedevano l'ora di uscire da scuola per raggiungere Peppino nel suo negozio e scherzare un po'. Le comari facevano a gara a stuzzicarlo per sapere qualche pettegolezzo divertente. Peppino era al settimo cielo, cercò il suo amico per chiedergli dove poteva procurarsi quella sostanza miracolosa, che gli aveva fatto tanto bene. Diventarono amici di scherzi, risate e di bevute...
Un giorno Peppino inciampò e si rotolò per terra pericolosamente. Tutti lo imitarono, pensando ad uno dei suoi soliti scherzi, lo chiamavano, gridavano il suo nome. Peppino, disteso in mezzo alle stoffe pregiate, sembrava un mucchio di scampoli colorati. Tutti se ne andarono, quasi offesi dal comportamento indifferente di Peppino…
Ora lui non conta niente per nessuno, litiga con i suoi colleghi, con la famiglia, con se stesso. Dentro di se una vocina vorrebbe smettere di bere ma un'altra lo spinge a continuare.
La mattina di Natale Peppino incontrò Antonietta, una donna bellissima che lo invitò a passeggiare...e Peppino sentì forte la vocina del cambiamento, le parole del conforto, il calore dell'affetto.
Marco non aveva perso neanche una parola della fiaba che la mamma aveva inventato per il suo piccolo principe e dopo un respiro profondo disse: " Mamma, domani chiediamo a papà se vuole venire con noi, in quel posto bello bello dove ci sono Antonio e la sua famiglia, zia Raffaela e zio Michele, Salvatore e suo fratello, Sandro e Antonella, Giovanna, Titti e gli altri. In quel posto dove tu non piangi più, dove io posso disegnare la mia famiglia, dove parliamo senza urlare e soprattutto dove non ti vengono quei brutti lividi.
Io glielo voglio chiedere a papà se viene con noi in questo posto dove i problemi si guardano in faccia e non si annegano in un bicchiere, forse papà non lo sa che sanno nuotare benissimo...
Questo mio racconto è un pensiero speciale ai bambini che vivono tristi realtà, a i bambini che accettano in silenzio, che soffrono ma non odiano. A tutti i bambini che l'alcol ha trasformato in piccoli adulti, cui ha portato via l'innocenza, che ha mostrato loro la durezza della vita troppo presto.
A Chiara e Andrea che in un Club degli alcolisti in trattamento hanno trovato la serenità per disegnare la loro nuova famiglia felice. Ma anche a quei genitori che hanno trovato la forza di tirarsi su, di sollevare la testa e guardarsi allo specchio. A quei genitori che l'alcol ha cambiato ma che in un Club hanno trovato un nuovo stile di vita, un rinnovamento dello spirito, un nuovo cammino da percorrere.
Lentamente muore
Pablo Neruda
Da Giuseppe agli amici del Club degli alcolisti in trattamento di Ghilarza
Oltre la collina
ad Alessandro dall’amico GIANNI
04/02/2011
La solidarietà...
“...non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di ognuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”
(Giovanni Paolo II, 1988 Sollicitudo rei socialis, 38)
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